Scrive sotto i Flavi, stipendiato dallo stato. Lavora nella neonata scuola pubblica. Scrive "istitutio oratoria" in 12 libri. Oratore come per Cicerone "vir bonus dicendi peritus", parla di pedagogia. Il libro più importante è il 10, dove da un sintetico giudizio di tutti gli autori precedenti. Critica Seneca, e tutti i filosofi. Il poblema della decadenza sarà ripreso da Tacito nel "dialogus de oratoribus" ed è esplicato nel "de causis curruptae eloquentie". L'istitutio oratoria è. Una summa della retorica antica, secondo Q. le cause della decadenza dell'oratoria antica sono: cattivi insegnanti, nella scuola si dà toppo peso ad argomenti futili e fittizi (problema tecnico), degeneazione dei costumi che ha potato allo scadimento di gusto e stile (problema morale). Per Q. Cicerone è il culmine dell'oratoria antica, senza pensare al fatto che non si viveva più in democrazia. Per T. la causa della decadenza dell'oratoria sarà la mancanza di libertas. Quando ne 12 libro Q. parla del perfetto oratore, lo fa senza considerare il cambiamento dei tempi rispetto a quelli di Cicerone. Il Vir Bonus Dicendi Peritus secondo Q. è colui che sa antporre il bene pubblico a quello privato, quello che lavora per il bene dello stato. Ai tempi di Quintiliano lo stato si configurava con l'imperatore, quindi visto che il retore deve lavorare per lo stato, lo doveva fare per l'imperatore (finalità adulatoria). Q. è ambiguo perchè teorizza, nei fatti, la collaborazione tra oratore (politico, ridotto ad esecutore delle direttive imperiali) e regime assoluto.
Lo stile è abbastanza equilibrato, critica sia l'atticismo, per l'eccessiva semplicità, ma anche le tendenza arcaizzanti di alcuni autori latini (Apuleio), ma il suo bersaglio preferito sono i moderni ed il loro stile, fiorito, concettoso, riccon di sententiae, rappresentato magistralmente da Seneca. Q. definisce lo stile di Seneca "vitiosus et corruptus dicendi genus" (modo di parlare vizioso e corrotto), in quanto fa un uso eccessivo dell'ornatus (delle figure retoriche), infatti Q. sostiene che lo scopo dei nuovi oratori è semplicemente di delectare. Q. devia dal persuadere, che è il fine principale dell'oratoria, e critica lo stile imperiale in cui i "verba" contano più dei "res", dei contenuti (rem tene verba sequentur è la tesi opposta sostenuta da Catone il Censore). È pertanto lo stile di Q. un tentativo di ripresa di Cicerone, che rimane tuttavia influenzato dallo stile di Seneca. Sintasi meno ampia e distesa di quella di C. e con maggiore concentrazione di pensiero, rapidità.
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