Tommaso riprende
e reinterpreta il pensiero aristotelico alla luce dei valori cristiani. In
particolare, Tommaso, si sofferma sulla traduzione della "Politica"
di Aristotele. Nell'introduzione a tale opera, l'autore guarda alla politica
come ad una scienza autonoma, nè speculativa nè pratica, ma pragmatica,
ispirante l'agire dell'uomo. La politica, per Tommaso, come per Aristotele, era
da considerarsi una scienza architettonica, che dovesse presiedere dalla
gestione di tutte le altre discipline.
La
sua opera maggiore è la "Summa Teologica", divisa in 3 parti
autonome:
1.
Nella prima parte si parla della creazione della natura e dell'uomo;
2.
Nella seconda parte si parla all'inizio degli atti dell'uomo, della virtù e del
peccato, e poi di vizi e virtù;
3.
Nella terza parte, incompleta, si parla degli interventi sovrannaturali di Dio
nell'ambito della creazione.
L'opera
vuole fornire, come detto, un'interpretazione del pensiero aristotelico in
chiave cristiana, al fine di fondare non solo una nuova teologia, ma anche una
nuova filosofia.
Secondo
alcuni nella Summa si potrebbe rinvenire uno schema neoplatonico di "exitus",
uscita da Dio, e di "reditus", ritorno presso di lui. Questi due
momenti si snodano nella Legge. Per Tommaso, la Legge è: "un ordinamento
della ragione, in vista del bene comune, promulgata da colui al quale spetta il
governo della comunità". Se la legge deve orientare, l'atteggiamento
individuale verso il bene comune, questa dovrebbe essere decisa dalla comunità
nella sua interezza, o comunque da un rappresentante legitimo della comunità
stessa. La legge positiva ha, comunque, come presupposto, la legge naturale,
che governa l'universo nella creazione.
Pertanto,
a sovraintendere il diritto positivo sono la Legge Eterna (ovvero la volontà di
Dio), la Legge Divina (che si manifesta con la rivelazione) e la Legge Naturale
(che si manifesta nell'inclinazione dell'uomo alle finalità razionali). La
Legge umana, che deriva comunque dalla Legge naturale, si divide in diritto
delle genti e diritto civile. Il diritto delle genti riguarda la convivenza tra
gli uomini, in generale, ed è una derivazione logica della legge naturale,
mentre, il diritto civile, tiene conto delle specifiche esigenze dei singoli
Stati. A stabilire il rapporto tra legge umana e legge divina sono il
"modum conclusionis" ed il "modum determinationis".
Per
quanto riguarda l'origine del potere, Tommaso precisa l'affermazione, di Paolo,
per la quale, lo stesso, derivi da Dio: il potere è "a iure umani"
leggittimato direttamente dal popolo, ed indirettamente da Dio.
Il
potere dovrebbe essere indirizzato al conseguimento della giustizia in senso
aristotelico. Esso è disposto da autorità spirituali e terrene allo stesso
tempo. Tommaso, tuttavia, riconosce una superiorità del potere spirituale
rispetto a quello politico.
Nel
suo "de regimine principium" o "de regno" egli esprime
quale sia la forma di governo da lui preferita, ovvero la monarchia. Tale opera
sarebbe stata completata, dopo la morte di Tommaso, da un suo allievo. Secondo
Tommaso, se il principe è virtuoso, lo è anche il popolo, e si possono perseguire
l'ordine ed il bene comune. Il compito del principe è questo, di condurre la
comunità verso il bene, di essere prudente e di avere buone competenze
politiche (architettoniche), per il coordinamento di tutte le attività di
governo. Qui è la grande innovazione portata da Tommaso, rispetto ad
Aristotele, l'affiancamento, alla virtù, di una necessaria competenza. Dunque,
sebbene la forma di governo preferita da Tommaso fosse la monarchia, in realtà
la sua visione era orientata verso una costituzione mista sul modello romano.
TOMMASO
D’AQUINO, LE CINQUE VIE, dalla “Summa Teologica”.
Dopo
essersi posto il problema se Dio esiste, Tommaso passa ad indicare le sue
famose “cinque vie” per arrivare a Dio attraverso la natura.
“Sembra
che Dio non esista. E infatti:
1.
Se di due contrari uno è infinito, l’altro resta completamente distrutto. Ora,
nel nome Dio s’intende affermato un bene infinito. Dunque, se
Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Viceversa, nel mondo c’è il
male. Dunque, Dio non esiste.
2.
Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di cause, non si vede perché
debba compiersi da cause più numerose. Ora tutti i fenomeni che avvengono nel
mondo, potrebbero essere prodotti da altre cause, nella supposizione che Dio
non esistesse: poiché quelli naturali si riportano, come al loro principio,
alla natura, quelli volontari, alla ragione o volontà umana. Nessuna necessità,
quindi, della esistenza di Dio.
3.
In contrario: Nell’Esodo si dice, in persona di Dio: “Io sono Colui
che è”.
4.
Rispondo: Che Dio esista si può provare per cinque vie.
[a.
La prima via Dal mutamento]
La
prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e
consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò
che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia
potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto
è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla
potenza all’atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all’atto se non
mediante un essere che è già in atto. Per es., il fuoco che è caldo attualmente
rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e cosí lo
muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e
sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto
diversi rapporti: cosí ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in
potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il
medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova
se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un
altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna
che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e cosí via. Ora, non si può in
tal modo procedere all’infinito perché altrimenti non vi sarebbe un primo
motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non
muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove
se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo
motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
[b.
La seconda via Dalla causalità efficiente]
La
seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo
sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è
impossibile, che una cosa sia causa efficiente di sé medesima; ché altrimenti
sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all’infinito
nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti
concatenate la prima è causa dell’intermedia, e l’intermedia è causa
dell’ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa e
tolto anche l’effetto: se dunque nell’ordine delle cause efficienti non vi
fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l’ultima, né l’intermedia. Ma
procedere all’infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima
causa efficiente; e cosí non avremo neppure l’effetto ultimo, né le cause
intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima
causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
[c.
La terza via Dalla contingenza]
La
terza via è presa dal possibile [o contingente] e dal necessario, ed è questa.
Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere. Ora, è
impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che
può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose [esistenti in
natura sono tali che] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu
nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò
che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque,
se non c’era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad
esistere, e cosí anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso.
Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi
sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa
della sua necessità in un altro essere oppure no. D’altra parte, negli enti
necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere
all’infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato.
Dunque bisogna concludere all’esistenza di un essere che sia di per sé
necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di
necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
[d.
La quarta via Dai gradi di perfezione]
La
quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che
nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un
grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuiscono alle
diverse cose secondo che si accostano di piú o di meno ad alcunché di sommo e di
assoluto; cosí piú caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo.
Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di
conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice Aristotele,
ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è
massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere,
come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il
medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa
dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
[e.
La quinta via Dal finalismo]
La
quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le
quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come
apparisce dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per
conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una
predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza
non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e
intelligente, come la freccia dall’arciere. Vi è dunque un qualche essere
intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e
quest’essere chiamiamo Dio”.
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