giovedì 19 maggio 2011

Latino - Tacito

É, insieme a Seneca, il maggiore autore di età imperiale, il maggiore storigrafo del suo periodo, sintetizza tutte le esperienze che lo hanno preceduto (Livio, Sallustio, ecc.) e reinterpreta in modo originale metodi e schemi della traduzione storiografica precedente. Dopo di lui la biografia prenderà il sopravvento sulla storiografia. Questo per l'accentramento del potere politico nelle mani dell'imperatore. Vive sotto Traiano e Adriano.
Di Publio Cornelio Tacito non si conoscono né data, né luogo di nascita, anche se Plinio il Giovane lo definisce suo coetaneo e ci fa fissare la data della sua nascita tra il 55 ed il 58. Il luogo potrebbe essere Terni, perché ci sarà un imperatore nel -III sec. che si chiamava Tacito e si vantava di avere tra i suoi studenti uno storico, anche se questo nome era comune sia nella Gallia Cisalpina che in quella Narbonese. Fece politica sotto i Flavi e si pensa che fosse di condizione sociale elevata. Morì probabilmente intorno al 120. 



Rilevante tra le sue opere fu l'Agricola, opera in cui celebrava il suocero che non smise mai di fare politica, anche sotto gli imperatori più severi. T. ritiene che nei tempi duri in cui si viveva, piuttosto che opporsi all'imperatore senza ottenere nulla, è meglio servire lealmente lo stato. Egli, nei capitoli finali, quando descrive la morte di Agricola insinua, attraverso dei rumores, nel lettore il sospetto che questi sia morto giovane perché ucciso dall'imperatore Domiziano, invidioso dei suoi successi. Le notizie sulla vita del protagonista sono in ordine cronologico, parlandoci della famiglia, della patria, dell'educazione, ecc. facendo emergere gradualmente le sfumature del suo carattere. All'interno dell'opera vi è un excursus sui popoli della Bretagna, che anticipa la sua seconda opera, la "Germania". In questo excursus va ricordata la presenza di due discorsi contrapposti (cfr. Tucidide), uno di Agricola e l'altro di Calgaco, capoi dei Caledoni, tribù britannica contro cui stavano per scontrarsi i romani. Il più importante è quello di Calgaco che riprende in pieno quello dei Meli contro l'imperialismo ateniese nel V libro delle Historiae di Tucidide ed al quale si trova una risposta di Giustiniano nel VI canto del Paradiso di Dante. L'opera si conclude con una specie di epitaffio in onore dell'Agricola morto. L'opera è di grossa rilevanza storiografica, quasi una monografia, per via degli excursus, dei discorsi diretti, dei pochi riferimenti biografici, ecc.
Lo stile e duttile e vario, e si richiama a tutti gli autori precedenti.
Altra opera importante è "l'origne della regione dei Germani", di carattere etnografico. L'opera descrive i luoghi e gli abitanti enunciando dettagliantemente le rispettive caratteristiche. T. ci descrive i Germani, anche fisicamente, i loro mores (costumi),un po' come nel "dfe bello gallico" di Cesare, ci parla della loro organizzazione politica e militare, la loro religione, il funzionamento della loro giustizia, dei loro edifici, dell'abbigliamento, dei cibi, ecc. Le fonti di T. furono Cesare e Plinio il Vecchio e soldati che rientravano da quelle zone. L'interesse nei confronti dei Germani è dovuto alla volontà di confrontare tale popolazione con quella Romana. T. vuole criticare, esaltando la levatura morale dei Germani, la corruzione dilagante che regnava a Roma in quel periodo. Egli critica il fatto che le donne germaniche sono ancora assai pudiche, non escono, educano i propri figli, contrariamente alle donne romane (cfr. VI canto Inferno di Dante). Altra cosa che esalta è il sistema politico basato sulla libertas anche se, di tanto in tanto, serpeggia il disprezzo, il disgusto dell'autore per un mondo che era ancora così barbaro. Il grande acume di Tacito, è il fatto che egli sostiene che una popolazione con una tale levatura morale dovrebbe sottomettere Roma, ma non ci poterebbe riuscire per via delle discordie interne. Egli conclude con la speranza che le discordie durino a lungo.
Dialogus de oratoribus: è dedicato al tema della decadenza dell'oratoria. Probabilmente questo dialogo è ambientato nel 75 d.c. perché T. Sostiene che Vespasiano regna da sei anni. Il tema richiama Quintiliano, all'anonimo sul sublime, a Seneca Padre e a Petronio. L'ambientazione del dialogo richiama da vicino il "de oratore" di Cicerone. In una cornice sono riportati i discorsi di uomini politici o intellettuali sul tema in questione. I protagonisti sono uomini realmente vissuti: Marco Apro e Giulio II, i due avvocati più famosi del tempo, e Curiazio Materno (padrone di casa), senatore ed oratore che aveva abbandonato l'eloquenza per la poesia tragica, arriverà poi Vipstano Mestalla. Apro difende l'oratoria contemporanea e sostiene che nella sua età non c'è decadenza, bensì evoluzione, trasformazione, in armonia con il mutare dei tempi, ed allora ci voleva uno stile brillante, ricco di sententiae e di figure retoriche. Infatti, secondo Apro, anche Cicerone ai suoi tempi era stato considerato un'innovatore. Abbiamo, quindi, una difesa di quello stile moderno anticlassicistico ed anticiceroniano, rappresentato da Seneca e da Tacito stesso. Messalla ci parla di quelle che sono, secondo lui, le cause di questa decadenza dell'oratoria: trascuretezza dei genitori quando educano i figli, livello scadente della scuola, la futilità dei temi delle declamazioni. Materno (che sarebbe Tacito stesso) sostiene che il declino dell'oratoria ha delle cause politiche e lancia una suggestiva immagine: oratoria paragonata ad una fiamma che per bruciare e brillare deve essere alimentata! Nella repubblica questa fiamma veniva stimolata e alimentata dalla competizione politica, dai dibattiti in senato, dai discorsi davanti al popolo. Con la perdita della libertà politica si era persa anche la vera eloquenza. L'opera si conclude con Materno che sostiene che la grande eloquenza nasce dalla "Licenza" cui gli sciocchi danno il nome di "Libertà", essa non si sviluppa negli stati pacifici e ben ordinati, dove le decisioni sono prese da uno solo.
Le sue due opere maggiori sono storiografiche e sono: le "Historiae" e gli "Annales". Le Historiae sono dedicate alla dinastia dei Flavi, e raccontano gli anni dal 69 al 96. Negli Annales, T., voleva raccontare gli anni di Nerva e Traiano, che furono un po' più sereni. Durante la trattazione della prima opera, le historiae, il suo pessimismo aumentò tanto da portarlo a raccontare il periodo antecedente il 69, l'età Giuliocludia, dal 14 al 69 stesso. Tacito vuole vedere se la perdita di libertà politica aveva i suoi germi nel periodo Augusteo. Le historiae comprendono 14 libri e hli annales ne comprendono 16. Delle prime abbiamo i primi 4 libri e parte del quinto, dei secondi abbiamo i libri dall'1 al 6 e dall'11 al 16. La narrazione ha uno schema annalistico, anno per anno e scorre da Roma alle provincie e dalle provincie a Roma.
Le Historiae: nella prefazione T. dice che racconterà una impressionante sequela di atrocità, delitti, tradimenti, scandali e sconfitte. Descrive innanzitutto le vicende del 69, l'anarchia ed i tre imperatori che si uccisero a vicenda: Galba, Otone e Vitellio. Alla morte di Vitellio, Vespasiano prende il potere e da inizio alla dinastia dei Flavi. Questa dinastia consolida l'impero, ricordiamo l'assedio di Gerusalemme nel 70 da parte di Tito, con tanto di escursus sui giudei. T. descrive eventi topograficamente differenti e con un tipo di narrazione definita asimmetrica perché si sofferma sugli eventi che lui reputa più importanti.
Gli Annales si aprono con una breve prefazione in cui T. condanna nuovamente gli storici del principato. I libri dal primo al sesto sono dedicati sono dedicati al principato di Tiberio. Lo storico traccia nell'imperatore un processo di trasformazione dell'imperatore in tiranno. Gradualmente affiora la sua vera natura, crudele e viziosa. Sin dall'inizio spicca la capacità di simulazione di Tiberio. In questo ritratto, T. affianca al tiranno il suo figlio adottivo, Germanico, grande militare e per questo invidiato dal patrigno. Sulla morte improvvisa di Germanico, fa gravare sospetti di avvelenamento tramite rumores, voci, dicerie di palazzo, sospettando implicitamente Tiberio. Altra figura di rilievo in questa sezione degli annales è Seiano, individuo malgio e corrotto a cui Tiberio aveva dato grande potere. Alla sua morte affiora la crudeltà dell'imperatore. Questa parte si conclude con un epitaffio dove si ripercorrono gli stati della degenerazione di Tiberio.
I libri 11 e 12 si occupano di Claudio, sempre presentato come debole e incapace, dominato dai liberti e dalle mogli (Messalina e poi Agrippina). Le vicende private dell'imperatore dominano su quelle pubbliche.
I libri dal 13 al 16 sono dedicati a Nerone, la natura malvagia del personaggio si svela lentamente: a questa degenerazione si accompagnano i delitti dell'imperatore, come l'uccisione del fratellastro britannico, della madre Agrippina, la moglie Ottavia, la passione per Poppea. T. individua una data, il 59 come l'anno in cui Nerone toglie il freno alla sua degenerazione morale: comincia a dedicarsi a gare ippiche, musiche, canti, diventa megalomane. Altra data rilevante è il 62, in cui Afranio Burro more, Seneca si ritira e compare Tigellino, prefetto del pretorio. Da questo momento in poi verranno uccisi tutti i nemici dell'imperatore. Nel 64 viene incendiata Roma e la colpa viene data ai cristiani: inizia la prima persecuzione, nel 65 ricordiamo la congiura dei Pisoni, sventata con la morte di Seneca, Lucano e Petronio.
Centrali in tutte queste narrazioni sono i personaggi, imperatore e comparse.
Le fonti che sranno prese in considerazione da Tacito saranno non solo letterarie ma anche documentarie (come le sedute del senato, discorsi e lettere degli imperatori) e testimonianze orali. Nelle sue due opere, T., afferma di voler narrare i fatti con imparzialità (sine ira et studio, senza animosità né simpatia); in realtà ciò non avvenne. Quando di un fatto ci sono più interpretazione, Tacito le riporta tutte, senza prendere posizione e cita spessissimo dicerie e rumores. Ne scaturisce un racconto ambiguo e spesso tendenzioso, che si sofferma spesso di alcune cose piuttosto che su altre. Inoltre, al pari dei suo grandi antecendenti, Sallustio e Livio, formula severi giudizi di condanna sui lati negativi dei personaggi che ci racconta, è ostile nei confronti degli imperatori, anche per via delle sue fonti che erano filosenatorie. Dal ritratto degli imperatori esprime la sua concezione pessimistica della natura umana: dietro ogni azione T. vede le motivazioni più scure, gli aspetti più negativi. Tacito sostiene inoltre che nella storiografia c'è un impoverimento dei contenuti a causa del principato, quindi non ci sono più i grandi eventi militari e civili, ma quelli politici e morali: lo scadimento della classe senatoria, gli intrighi di corte, le lotte per il potere. La tendenza ad accentuare il moralismo di Sallustio resta presente ed è accentuata. Tacito, tuttavia, sostiene che il principato è necessario ed è causa ed effetto della decadenza dello stato, è quasi impossibile trovare un "princeps capax imperii" (capace di governare). La visione di Tacito è un climax ascendente di pessimismo: il principato sarà definito remedium, cua ad una malattia.
Il personaggio è al centro della narrazione, proprio come in Sallustio. I fatti dipendono dalla moralità del personaggio. T. é molto vicino alla biografia anche se, mentre Svetonio, che riporta le biografie degli imperatori, si sofferma più sui fatti privati, riportando anche le frivolezze, Tacito preferisce l'aspetto pubblico di ogni personaggio. In T. c'è una profonda ed acuta analisi psicologica per svelare le motivazioni interiori che hanno portato ad agire. Con Tacito giunge al suo apice la tecnica del "ritratto", che predilige le qualità e i difetti morali alla caratterizzazione fisica.
La storiografia di T. è di tipo drammatico, è come trovarsi davanti ad una tragedia in prosa, in quanto inserisce discorsi diretti, a volte inventati, altre rielaborati, ed indiretti, proprio per esporre considerazioni, commentie e giudizi. Lo storico da ampio spazio agli elementi patetici: descrizioni di morti tragiche, supplizi, catastrofi, morti laceranti; tutti questi elementi concorrono a conferire quel quadro cupo e fosco in cui si muovono i personaggi e Tacito stesso, profondamente pessimista.
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